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La gestione del cambiamento

Aggiornamento: 16 lug 2021

“Nulla è durevole quanto il cambiamento. Non vi è nulla di permanente eccetto il cambiamento. Tutto scorre, nulla resta immutato”

Eraclito

Il cambiamento, termine che funziona bene in ogni contesto, una parola anche di moda soprattutto negli ultimi tempi di crisi. Ma se poi il cambiamento facesse un po’ paura? Che cosa è il cambiamento? Per Treccani, per esempio, è definito come “atto ed effetto del diventare diverso”. Innanzitutto, è la natura stessa della vita ed una delle sue caratteristiche peculiari, tutto ciò che ci ha portato a progredire ed evolverci, una dimensione sociale che riguarda il progresso della società. A seconda del nostro approccio potrebbe essere un evento che ci colpisce come un qualcosa di nuovo o di diverso che per noi era sconosciuto e ci coglie impreparati ovvero un comportamento intenzionale o una strategia che mettiamo in atto per raggiungere uno stato desiderato a livello personale o professionale. Bisogna partire dall’assunto che, a prescindere da ciò che si desidera, cambiamo di continuo. Nulla è mai fermo e tutto cambia continuamente. Alcuni cambiamenti ordinari, fisiologici, sono più semplici da vivere ed assorbire sia dall’essere umano che dal sistema di cui fa parte qualsiasi esso sia, con un impatto non stravolgente che coinvolge la capacità adattiva ordinaria, aggiustamenti e modifiche che si gestiscono facilmente. A volte, invece, la portata e l’impatto del cambiamento è tale da generare blocchi e traumi per i quali e occorre attivare risorse straordinarie per trovare nuovi equilibri. Il cambiamento può essere, a seconda dello scenario e dell’approccio adottato, una necessità, un adattamento, un’opportunità o può portare ad una crisi. L’essere umano per natura non è propenso a cambiare perché è faticoso, tende a gestire il risparmio delle energie ed è geneticamente programmato per difendere l’equilibrio raggiunto, difendendo lo status quo, conseguentemente si evidenziano fattori di resistenza al cambiamento, che sono inevitabili per natura, ma con la consapevolezza ed una corretta ed efficace gestione della resistenza, si velocizza ed agevola il cambiamento e si riducono i costi correlati (ogni cambiamento ha dei costi a livello di impiego di energia e si possono vivere i «costi» del cambiamento come dei veri e propri stress). Ci sono due modi per affrontare il cambiamento, in modo reattivo, ossia rispondendo solo quando si è costretti… spesso troppo tardi, ed in modo attivo, ossia anticipandolo e cercando di essere sempre al passo con il cambiamento; dunque, essendo capaci di ridurne al minimo gli aspetti più difficili, e persino trarne vantaggio (resilienza). In psicologia il termine resilienza indica l’abilità degli individui di fronteggiare con successo le avversità importanti della vita ed è la capacità di un soggetto di resistere ad un evento traumatico senza danni o perdite e superare il cambiamento riformandosi o rigenerandosi, ed è ciò che è utile ogniqualvolta si affrontano cambiamenti. “La resilienza è la capacità intrinseca di un sistema di modificare il proprio funzionamento prima, durante e in seguito a un cambiamento o a una perturbazione, in modo da poter continuare le operazioni necessarie sia nelle condizioni previste sia in condizioni impreviste” (Wikipedia). La dinamica del cambiamento, con tutti gli eventuali scenari che può produrre a seconda di come si affronti, riguarda direttamente anche i sistemi e le organizzazioni, con le stesse difficoltà e come nella persona è un movimento fisiologico ineluttabile, che va affrontato correttamente. Che si tratti di un cambiamento deciso dall’organizzazione, o cui l’organizzazione stessa debba necessariamente adeguarsi, dall’azienda famigliare impegnata nel passaggio generazionale alla multinazionale che deve ristrutturare e fare un po’ di cessioni, e ancora il patron che vuole lasciare la poltrona al figlio o la volontà di riorganizzarsi per rendere spendibile e vendibile sul mercato del mergers and acquisitions la propria azienda, non cambiano i presupposti da cui siamo partiti: i cambiamenti fanno parte della fisiologia della vita aziendale, e incidono sulla sua qualità in modo significativo. Ciò che impatta, tuttavia, non è solo il cambiamento in sé, quanto e ancor più il modo di prepararlo, comunicarlo e accompagnarlo e soprattutto acquisire la consapevolezza di ciò che vuol dire e delle resistenze che possono emergere. Riflettere sul cambiamento è una premessa importante per coloro che hanno la responsabilità della governance delle imprese; occorre, innanzitutto, cogliere gli elementi costituivi del cambiamento per allestire processi efficaci, che lo favoriscano e accompagnino ciò che non è un passaggio, ma un processo e come tale va gestito e monitorato.

Cambiamento non vuol dire stravolgere tutto, ricordiamoci sempre che è un movimento e mutamento costante, che comporta innovazioni e occasioni per poter competere con successo o per fallire se non si ha la necessaria visione strategica ed un approccio sostenibile.

Importante quindi è trovare il giusto e delicato equilibrio che serve a preservare l’identità, tra l’acquisizione della capacità adattiva di cambiare ed innovare e la capacità conservativa di mantenere, con risposte nuove corrispondenti ai bisogni in mutamento esogeni ed endogeni.

Come per le persone anche le aziende sono soggette a cambiamenti ordinari per cui possiedono una propria capacità di generare e adattarsi ai continui micro-cambiamenti che ne cadenzano l’esistenza, e straordinari, di portata più ampia che richiedono un surplus energetico e per i quali occorre un processo di governance in grado di curarne le condizioni affinché possano generare risposte adattive ed evolutive. La salute del sistema è data dalla capacità di alternare in modo equilibrato le spinte innovative e quelle conservative.

La delicata fase del passaggio generazionale è ad esempio una delle sfide organizzative e culturali tipiche di questo momento di cambiamento, pianificarlo per tempo equivale a garantire continuità aziendale, tutela del patrimonio. Gli strumenti giuridici, metodologici, organizzativi a disposizione sono molti. L’imprenditore manager lungimirante, vede al di là della propria “creatura”, comprende che è opportuno pianificare per tempo una soluzione per dare continuità all’azienda favorendo la successione come strumento di crescita innovativa o la strutturazione per la ricerca di partners, nuovi soci o per il passaggio della sua azienda ad altri imprenditori. Come per la continuità e lo sviluppo dell’attività della propria azienda, il valutare operazioni di aggregazione aziendali, per poter competere su mercati sempre più globalizzati e modellare le attività che i nuovi scenari richiederanno.




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